mercoledì 9 aprile 2014

Potosì


Potosì, un nome, una città che rievoca un passato glorioso e insieme tragico, un importantissimo pezzo di storia non solo della Bolivia ma di tutta l'America Latina.
L'inca Huayna Capac fu il primo ad essere attratto dall'immenso e bellissimo monte, a forma di cono perfetto, che proprio dopo di lui prese il nome di Potosì,  "tuona, scoppia, esplode". Gli Inca, però, non estrassero mai i preziosi minerali all'interno del cerro perché allontanati e impauriti da una voce divina che li fermò ancora prima che avessero inizio i lavori.
Nel 1545 arrivarono gli Spagnoli richiamati dagli immensi filoni d'argento del monte; incominciò lo splendore e insieme la rovina del luogo. Potosì divenne il centro nevralgico e simbolo del regno; addirittura si incominciò a dire "vale un Potosì" per riassumere il massimo elogio per persone e cose. Durante circa 150 anni gli spagnoli estrassero tutto l'argento del "Cerro rico" (monte ricco), Potosì divenne la città più grande e più ricca di tutto il Sud America dove i potenti conquistadores ostentavano oggetti di lusso e preziosi provenienti da tutto il mondo; vennero eresse chiese, teatri, saloni da ballo, sale da gioco, e ogni palazzo aveva al suo interno oggetti e mobili costruiti d'argento. Nei secoli XVI e XVII , il cerro ricco di Potosì fu il centro della vita coloniale americana….I metalli strappati ai nuovi domini coloniali stimolarono lo sviluppo economico dell'Europa: anzi lo resero possibile. [da "Le vene aperte dell'America Latina" di Eduardo Galeano]
L'altra faccia della medaglia era, neanche a dirlo, la miseria in cui vivevano gli indigeni e gli schiavi neri che lavoravano all'interno della miniera: condizioni di lavoro disumane rese ancora più dure dalle condizioni climatiche, passando da un freddo polare derivante dai quasi 5000 metri d'altezza del monte ad un caldo infernale una volta all'interno delle viscere del monte stesso e dalla presenza di metalli tossici.
Il XVIII secolo segna la fine del mercato dell'argento a livello mondiale, e inevitabilmente la fine della città di Potosì. Una volta esauriti tutti i filoni d'argento all'interno del Cerro, nel giro di pochi anni la città incominciò a svuotarsi lasciando solo miseria e rovine degli splendenti palazzi. Potosì divenne una delle città più povera della povera Bolivia.
Con il tempo gli indigeni ripresero i lavori all'interno del monte inizialmente sfruttando le gallerie costruite in epoca coloniale; l'argento ormai è completamente sparito ma vengono estratti altri minerali e metalli, in particolar modo lo stagno. Lo stipendio di un minatore è relativamente alto, se confrontato con gli stipendi medi della Bolivia, ma le condizioni di lavoro e di vita continuano ad essere disumane. Un minatore lavora anche dieci ore al giorno, sempre all'interno delle gallerie della miniera, senza mangiare, inalando sostanze tossiche ed essendo a perenne rischio di incidenti a causa delle quasi nulle norme di sicurezza. 
La città continua a trascinarsi la fama di città fantasma, città di morte…

Arriviamo a Potosì in mattinata, vaghiamo cercando un'ostello, la città è deserta, è lunedì ma pare che tutti siano ancora sotto le coperte…Passata un'oretta, zaini in spalla, tra le piccole strade della città troviamo un alloggio che fa per noi, il Backpaker Hostel.
Lasciamo gli zaini in camera e andiamo alla ricerca di un locale dove fare colazione, il nulla, è tutto chiuso e per le strade non c'è anima viva. Torniamo in ostello e paghiamo cara una colazione, ma dovevamo per forza mettere qualcosa sotto i denti. Con un po' d'energia in corpo andiamo subito alla ricerca dell'agenzia di ex minatori, The Big Deal, per prendere informazioni sul tour all'interno delle miniere del "Cerro Rico". [http://bigdealtours.blogspot.com.ar/ ] Ad accoglierci c'è un giovane molto simpatico e preparato, siamo subito conquistati dall'emozione con cui ci racconta il tour. Il ragazzo ci mostra le foto dei soci, giovanissimi, 8/9 anni quando lavoravano all'interno di queste miniere. E' veramente appassionante ascoltare le sue storie…
Noi avevamo già deciso prima d'entrare che avremmo fatto il tour con loro avendo già appreso informazioni, in internet, a La Paz aspettando l'autobus…quello che ci aveva colpito è l'autenticità delle guide: sono tutti ex minatori che stanchi della vita in miniera hanno dato corpo a questa Agenzia di turismo, rinunciando al "ricco" stipendio da minatori però guadagnandoci in salute… Paghiamo e salutiamo, dandoci appuntamento alle 13 in Agenzia.
Rientrati in ostello, scopriamo che la città è deserta perché è carnevale, domenica, lunedì e soprattutto martedì la gente è di festa, martedì poi sarà tutto chiuso e nemmeno gli autobus andranno, è la festa più importante dell'anno. Cambiano quindi i nostri programmi, pensavamo di rimanere solo una notte e invece a causa del blocco dei mezzi dobbiamo fermarci di più. Seguendo il consiglio del ragazzo del The Big Deal, prima della visita alle miniere andiamo a consumare un semplice ma abbondante pranzo…ci serviranno energie per camminare all'interno del monte. Troviamo un ristorante mezzo nascosto veramente molto economico ma con un aspetto più che dignitoso; solito menù del giorno con zuppa, carne e riso lesso…niente male! Una volta arrivati in agenzia e recuperati i vari turisti, si rendono conto che siamo più del dovuto…uno degli aspetti positivi di Big Deal è che desiderano che i gruppi siano composti da non più di sette persone in modo da poter dare la giusta attenzione ad ognuno. Veniamo così divisi in due gruppi: uno anglofono e uno ispano, ovvero Noi due e una coppia di Argentini con il mitico padre ottuagenario al seguito, Don Daniel. 
Prima di iniziare la visita alle miniere ci fermiamo brevemente al cosiddetto "mercato dei minatori", ovvero un quartiere antistante la zona miniera stessa dove vari chioschi vendono i prodotti più consumati dai minatori: foglie di coca, bibite dolci, sigarette, dinamite e un liquore di canna da zucchero da 97° che ci fanno provare…mamma mia che schifezza! Oggi probabilmente non troveremo quasi nessuno al lavoro essendo lunedì di festa ma ugualmente compriamo qualcosa da bere e sacchetti di foglie di coca da regalare ad eventuali minatori.
Comprati i "regali" andiamo a cambiarci, ci vengono forniti stivali, caschetto con luce, zainetto e una tuta da minatore. Tutti belli acconciati andiamo agli impianti di raffinazione dove i minerali vengono selezionati e divisi; un minatore, infatti, una volta finita la giornata di lavoro porta ciò che ha raccolto in questa fabbrica e in base alla quantità e qualità del suo lavoro viene pagato. I metalli non vengono processati in Bolivia ma esportati all'estero, in particolare lo stagno viene venduto alla Cina e alla Germania…questa è una grandissima falla nel sistema boliviano in quanto i metalli grezzi hanno un prezzo molto basso mentre i materiali derivanti dalla loro lavorazione hanno ovviamente un prezzo molto più alto, materiali che poi i boliviani stessi comprano. 
Come dicevamo essendo lunedì di carnevale c'è pochissima gente che lavora e tutte le macchine non sono un funzione; non solo ci sono pochi lavoratori ma quelli che ci sono stanno festeggiando a suon di parrilla, alcool, foglie di coca a gogo e musica! Così abbiamo anche la fortuna e il raro privilegio di partecipare per una ventina di minuti ad un festeggiamento carnevalizio vero e proprio; mentre Andrea sbevazza nonostante siano solo le due del pomeriggio, Giulia, insieme alle altre ragazze del gruppo, viene trascinata in buffi balli con grande gioia e divertimento dei minatori…ovviamente non possono mancare le stelle filanti e le secchiate d'acqua, per fortuna questa volta non indirizzate a Noi ma alle nostre guide. Tocca andare, i ragazzi sono pur sempre in orario di lavoro e Noi abbiamo una mina da visitare. 
Le guide ci mostrano e spiegano come funzionano i vari macchinari poi ci avviamo alla miniera… Facciamo una fermata a un mirador improvvisato della città, una foto e via…

Arriviamo all'entrata della miniera coloniale, e dopo alcune avvertenze varchiamo la soglia, siamo dentro, è buio pesto, accendiamo la luce posizionata nei nostri caschi e cominciamo a percorrere le strette gallerie che compongono la miniera. Dopo alcuni passi incontriamo gli unici minatori che in quel momento stanno lavorando. Sono padre e figlio e sono dentro dalle 8 del mattino, si fermeranno a lavorare fino alle 8 di sera, 12 ore di seguito dentro la miniera senza uscire a mangiare per non perdere tempo… Gli rivolgiamo alcune domande e loro gentilmente ci rispondono, prima di lasciarli seguire con il loro lavoro gli lasciamo alcuni doni: bibite, foglie di coca e dinamite.
Le guide ci spiegano che ogni minatore è proprietario della propria vena all'interno della miniera; per vena si intende il segno che i solfati dei metalli lasciano, loro seguono la vena e scavano e traggono tutto quello che possono… Quando la vena si è esaurita, la cooperativa gliene assegna un'altra. Per entrare a far parte della Cooperativa Unificada un minatore deve lavorare alle dipendenze di un socio della cooperativa stessa e guadagnare una percentuale sempre crescente ogni anno. Alla fine dei tre anni se il minatore ha lavorato bene, non ha rubato e non si è appropriato di vene altrui, viene accolto dalla cooperativa come socio. 
Continuiamo la camminata all'interno dei tunnel che si fanno a volte più stretti a volte più bassi, ogni tanto ci fermiamo affinché Wilson, la nostra guida, ci dia altre spiegazioni e ci racconti altri aneddoti. Seguiamo il cammino per quello che viene chiamato il Museo della miniera, l'aria si fa rarefatta, l'ossigeno comincia a diminuire, i soffitti dei tunnel sono sempre più bassi… Arrivati al "museo" restiamo sbalorditi dai colori dei solfuri dei minerali, magnifico quello che si può trovare dentro un monte…Proseguiamo con la scoperta della miniera fino ad arrivare ad una statua del Tio Benito, considerato il dio dei minatori, padrone di tutta la ricchezza che esiste del monte. Qui, ogni venerdì, si concentrano i minatori per realizzare offerte e rituali. Ci fermiamo anche Noi e, uno alla volta, preghiamo Tio bevendo e offrendo
il famoso super-alcolico di canna da zucchero. Il grande Don Daniel, il signore di ottanta anni che è venuto con noi per tutto il tragitto senza battere ciglio, prega in quechua per i minatori e per i suoi cari…è un momento davvero spirituale. Ultimo sforzo prima del tunnel che ci porterà all'uscita della miniera, tre rampe di scale, non scalinate, proprio scale appoggiate sulla roccia. Superate anche queste l'uscita è vicina, mancano pochi minuti e già si incomincia a intravedere l'amata luce del sole…quando arriviamo alla fine dell'ultima galleria troviamo una sorpresa…il cancello è chiuso con un lucchetto!! E ora che si fa? Arriva una famiglia di minatori che da fuori provano ad aiutarci a rompere la catena ma senza successo…niente da fare bisogna uscire attraverso il piccolo spazio aperto tra le rocce e il cancello! Facendo molta attenzione a non far crollare tutto, uno alla volta riusciamo a passare…sopravvissuti anche a questa avventura. Crosci di applausi e complimenti vivissimi al nostro compagno Daniel!!!
Siamo rimasti dentro le miniere per poco più di due ore ma essere di nuovo all'aria aperta è veramente un sollievo, e dire che non c'era nemmeno nessuno che stesse lavorando alzando ancora più polvere e rendendo così l'aria molto più pesante…impossibile immaginare come facciano a vivere in questo modo i minatori. 
Prima di effettuare questa visita avevamo letto vari commenti e resoconti davvero catastrofici, addirittura c'è che sconsiglia di andare a visitare le miniere in quanto ritiene sia un insulto fare un "giro turistico" in un luogo dove la gente lavora soffrendo, si ammala e , a volte muore a causa di diversi incidenti. Noi non siamo d'accordo; inutile tapparsi gli occhi e fare finta che questa realtà così violenta non esista, è diffusa in tutto il mondo e i minatori permettono a tutti noi di avere batterie al litio, ferro, alluminio e chi più ne ha più ne metta…non si va a visitare una miniera per fare un festino ma per conoscere e dimostrare rispetto e riconoscenza a coloro che vi lavorano e , a volte, vi muoiono. Inoltre grazie ai ragazzi di The Big Deal abbiamo potuto scoprire un sentimento che non ci saremmo mai aspettati…orgoglio! Orgoglio per il proprio lavoro, per essere riusciti a creare una cooperativa autogestita, per le proprie storie e scelte di vita!

Finita la visita alle miniere, ci cambiamo e veniamo riaccompagnati all'agenzia in centro. Mentre tutti se ne tornano ai loro ostelli Noi e Chris, un ragazzo nordamericano, andiamo a comprare un paio di birre da condividere con i ragazzi. Il breve aperitivo di saluto si trasforma in una tipica serata di carnevale boliviano; passiamo tutta la sera insieme a sbevazzare e cocheare (ovvero masticare foglie di coca) ascoltando gli incredibili raccontanti dei minatori e compiacendoci di aver finalmente trovato un ragazzo nordamericano simpatico e intelligente. Verso mezzanotte inizia anche il rito delle "preghiere" alla Pacha Mama al quale veniamo invitati a partecipare…una emozione fortissima!

Ci si sveglia mezzi intontiti, è "martes de ch'alla" ovvero martedì grasso, ci avevano avvisato che avremmo trovato tutto chiuso ed in effetti è proprio così, gli unici che lavorano sono i venditori ambulanti che vendono articoli per festeggiare il carnevale. La maggior parte della popolazione sta festeggiando questo giorno tanto importante nella loro cultura, il compleanno della Pachamama, adornando la casa con fiori e colori, seguiti da un buon asado di lama. Anche Noi vogliamo mangiare carne di lama come vuole la tradizione, vaghiamo per strade semi deserte alla ricerca di un ristorante aperto, non ne troviamo molti, forse un paio, in uno di questi entriamo…
Ci offrono come piatti del giorno una zuppa tipica di Potosì e carne di lama alla piastra. La signora, povera, è sola tra cucina e tavole, quindi con pazienza e bevendo birra di Quinoa, aspettiamo arrivino le nostre pietanze… Alla fine ne è valsa la pena aspettare, il cibo era buonissimo!
Finito di cucinare la signora scende in strada e viene bagnata con secchiate d'acqua e riempita di schiuma, ormai le strade sono nuovamente vive e piene di gente, tutti armati con palloncini, pistole d'acqua e schiuma spray. Dalle case volano secchiate, come dai pick up pieni di ragazzi armati con cisterne e secchi. E' una vera e propri guerra, dopo essere stati presi di mira e colpiti varie volte ci attrezziamo anche Noi con palloncini d'acqua e schiuma. Dopo un paio d'ore siamo però finiti nel bel mezzo di una imboscata di ragazzini che ci hanno lavato dalla testa ai piedi… Comincia a piovere, abbiamo freddo e ce ne torniamo divertiti all'ostello. Qui ci riposiamo guardiamo un film e giochiamo a carte. Ceniamo con una pizza in due prima di andare definitivamente sotto le coperte, felici della destinazione che abbiamo scelto e di essere scappati da La Paz, qui ci siamo divertiti, abbiamo imparato molto e fatto una esperienza indimenticabile.




1 commento:

  1. Andreaaaaa... Stai vivendo un'avventura fantastica, accidenti come ti invidio! Chissà quante altre cose ancora da vedere e da scoprire e che arricchimento culturale ed emozionale.
    Continua a scrivere, tu viaggi, e io continuo a sognare quei posti che avrei sempre desiderato visitare.
    Buena suerte y adiòs

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